Un racconto privo di artifici del più ghiotto tra i linguaggi universali, capace di unire elementi diversissimi tra loro, in un equilibrio sottile e magico
Partire da uno degli stereotipi sessisti per eccellenza -la donna che sta in cucina- per creare un racconto di inclusione, emancipazione, gioia di vivere e accoglienza del diverso. Loro, in cucina, ci stanno e si divertono molto con questo progetto che, attraverso il cibo, parla di storia, radici, capacità di accogliere e prendersi cura dell’altro. Ricetta dopo ricetta dimostrano, anche ai più scettici, che possiamo salvare le tradizioni, senza paura di aprirci al diverso. Che il mondo, da sempre, si regge su un bellissimo equilibrio di scambio, che ci ha resi tutti più ricchi. Vi sembra tutto troppo romanzato? Pensate alla Via delle Spezie.
La ricetta più buona mai cucinata? Una carezza al momento giusto, un picnic a sorpresa sul tappeto del salotto, la bellezza all’improvviso, che incontriamo anche dove tutti ti dicono che bellezza non c’è.
La sensazione più bella che si ha, incontrando le sorelle Passera è che, nonostante abbiano un affiatamento simbiotico, parlino una lingua tutta loro, si capiscano con un semplice sguardo, hanno anche il super potere di non farti sentire esclusa nemmeno per un attimo. Loro sono così, morbide e accoglienti in ogni centimetro del loro essere e della loro anima. Oggi andremo a scoprire di più di questo loro progetto che, mentre parla di ricette, tra un pizzico di sale e un poco di zucchero, ti spiega come, con piccoli gesti di conforto, alla fine si potrebbe essere tutti più felici.
Sorelle Passera: di che cosa si tratta?
“Siamo Gigi e Marisa Passera, aka le @SorellePassera, e davvero siamo sorelle di nome, d’anima e di fatto. Da quando abbiamo memoria, cioè dall’era delle stelline in brodo con il formaggino, il cibo è stato il nostro abbecedario delle emozioni, il modo più naturale che conosciamo per dare e ricevere cura e amore. Insieme ci divertiamo a cucinare parole, libri, programmi tivù e “generi di conforto”, che per noi sono tutti quei beni preziosi che riempiono gli occhi e la pancia e fanno luccicare il cuore.
La ricetta più buona mai cucinata, una carezza al momento giusto, un picnic a sorpresa sul tappeto del salotto, la bellezza all’improvviso che incontriamo dentro e fuori casa, anche dove tutti ti dicono che bellezza non c’è. Nella nostra cucina, accogliendo e condividendo, abbiamo impastato i legami più significativi e duraturi della vita.”
La meraviglia e il potere del cibo è il fatto che in diverse parti del mondo, in posti distantissimi tra di loro, culturalmente differenti, si cucinano gli stessi piatti e questo significa che siamo molto più vicini di quello che crediamo.
Nel mondo sempre più patinato del food, il vostro progetto si presenta come racconto personale di quotidianità, senza fronzoli e con tanta, tanta anima. La cosa più straordinaria però, è che è uno spazio completamente “patronize free”, in cui condividete per il puro piacere di farlo, distanti anni luce dalla logora narrativa acchiappa like. Com’è che vi siete lanciate in questa avventura?
“Insieme abbiamo un progetto che, in generale, è la vita e, anche se abbiamo impegni e percorsi indipendenti, ci piace a volte dare spazio ad un linguaggio che è solo nostro e che decliniamo in varie situazioni. Una di queste è la cucina. Fin da piccole abbiamo cucinato l’una per l’altra, spesso come un trattato di pace. Quando litigavamo, il modo più semplice per riconciliarci era chiedere: “Hai voglia di un po’ di purè?”. E l’altra rispondeva: “Sì, però faccio anche le polpette” e così si iniziava a cucinare. Per noi, tutto si stemperava tra i profumi e le spezie: un cucchiaio di purè equivaleva a un bacio, quindi “Ti do tre cucchiai di purè”, era come dire “Ti do tre baci”. Per noi il cibo è il mezzo che ci permette sempre di interagire con il mondo, con gli amici e persino con gli sconosciuti. A tavola abbiamo conosciuto realtà diverse, che sono diventate parte della nostra famiglia. Il cibo è un linguaggio universale, le persone si capiscono anche parlando lingue diverse, semplicemente mettendosi ai fornelli; è il modo più semplice per comunicare ed essere vicini.”
Fin da piccole abbiamo sempre cucinato l’una per l’altra, spesso come un trattato di pace. Quando litigavamo, il modo più semplice per riconciliarci era chiedere: “Hai voglia di un po’ di purè?
Infatti, in un mondo di iperboli, voi scegliete di parlare di piccole gioie e di generi di conforto. Raccontateci il cuore e l’ironia dietro i due hashtag del progetto @SorellePassera.
#generidiconforto è un hashtag che rappresenta tutto ciò che siamo capaci di dare e che ameremmo ricevere. Che poi sono cose semplici. Abbiamo scelto questo hashtag pensando al San Bernardo, che arriva con la sua botticella di whisky, proprio mentre rischi di morire congelato. Solo che noi, nella botticella, ci mettiamo le cotolette. Comunque, al di là della risata, quello che vogliamo raccontare è quanto sia importante ricevere conforto in un momento di down. Il conforto è la cosa più importante, nella vita di tutti, è la vera dimostrazione d’amore e serve davvero poco per darlo.
#piccolegioiepertempibui è un upgrade di #generidicoforto, nato durante il lock down. Ora lo abbiamo rimosso, ma è stato un momento storico terribile. Eravamo tutti chiusi in casa, non potevamo fare niente e l’unica cosa che rendeva luminosa la giornata era accendere il forno, impastare, far lievitare una focaccia. Lo hanno fatto praticamente tutti. Sono le piccole gioie che salvano una giornata e il senso di esistere. Pensavamo che, finita l’emergenza Covid, questo hashtag non sarebbe più servito, ma purtroppo la cronaca ci dimostra che abbiamo ancora bisogno di tanti piccoli antidoti per proteggerci e darci forza, dato che i tempi bui nel mondo non sembrano accennare a diminuire.
Le piccole gioie per tempi bui non sono quasi mai riferite a noi stessi, ma, come i generi di conforto, sono un atto di generosità. Fare qualcosa per gli altri è ciò che salva davvero la vita e la rende preziosa.
Cibo come atto di amore, ma anche forma di resistenza, succulenta e profumata, ad una logica sociale sempre più basata sull’individualismo?
“L’individualismo è la cosa più dura da sopportare della nostra società. Quindi imparare a donare, anche nel piccolo, è il modo concreto che abbiamo di opporci alla dilagante logica del conflitto. Il cibo, ad avere voglia di capire i mondi che ci stanno dietro, è un mezzo sublime per conoscere l’altro.
La meraviglia e il potere del cibo è il fatto che in diverse parti del mondo, in posti distantissimi tra di loro, culturalmente differenti, si cucinano gli stessi piatti e questo significa che siamo molto più vicini di quello che crediamo, che le barriere sono assolutamente da abbattere, perché se ci mettiamo a tavola siamo esattamente le stesse persone.
Con tradizioni diverse, che però cucinano lo stesso piatto. E per gli stessi scopi, tra l’altro, cioè stare insieme, volersi bene e godere un momento di felicità con le persone che si amano. E questa è magia.”
L’individualismo è la cosa più dura da sopportare della nostra società. Quindi imparare a donare, anche nel piccolo, è il modo concreto che abbiamo di opporci alla dilagante logica del conflitto.
Avete da sempre un legame pazzesco, escludere il mondo sarebbe stato molto semplice. Invece ci regalate una declinazione di #sisterhood con una incredibile sensibilità per il diverso, per l’altro...
“Poter contare su una sorella, biologica o per scelta, significa poter vivere la vita proprio come te la senti, perché non importa cosa ti dirà il mondo, tu hai sempre il tuo posto sicuro dove tornare e sentirti accolta. Questo ti dà la forza di portare avanti la tua storia. Qui parliamo del legame tra noi, ma il modo che abbiamo di vivere le cose nostre è lo stesso con cui cerchiamo di accogliere il resto del mondo. L’accoglienza è alla base della nostra famiglia.
A tavola abbiamo conosciuto realtà diverse che, partendo proprio da un piatto condiviso, sono diventate parte della nostra famiglia. Così le tradizioni di famiglia si moltiplicano, perché ne prendiamo a prestito anche da altre famiglie, che nel frattempo sono state inglobate nella nostra. È un mondo di inclusione quello che raccontiamo, che porta un messaggio semplice: se davvero si riuscisse a riempire le nostre giornate di piccoli generi di conforto, di piccole gioie per tempi bui, saremmo tutti più felici. Piccole magie, anche da apprendisti stregoni, senza bisogno di essere esperti. Fare qualcosa per gli altri è ciò che salva davvero la vita e la rende preziosa. Noi lo raccontiamo con il cibo, ma qualsiasi forma di gentilezza va bene.”
A tavola abbiamo conosciuto realtà diverse che, partendo proprio da un piatto condiviso, sono diventate parte della nostra famiglia. Fare qualcosa per gli altri è ciò rende la vita preziosa.
Per voi il cibo è linguaggio universale, ma anche casa, racconto di umanità, memoria, eredità. Avete voglia di condividere, anche su questo, la vostra storia?
“Il cibo è magico, perché può riportarti casa in un istante. È il teletrasporto delle emozioni. Noi veniamo da una famiglia di profughi: i nostri nonni arrivavano dalla Dalmazia, che era italiana, poi c’è stato tutto il pasticcio della Seconda Guerra Mondiale e, per farla breve, han dovuto lasciare tutto, velocemente, e trasferirsi a Milano. Così l’unico modo rimasto per tornare metaforicamente a casa (Zara) era cucinare i piatti della loro terra. Le ricette di nonna Maria -che cucinava benissimo- ci riportano sempre in un luogo che non abbiamo mai conosciuto, se non da adulte. Come il suo strudel, lei lo faceva così sottile che sembrava un lenzuolo e lo riempiva di chili di mele. Pensandoci, è un piatto che è una metafora perfetta degli equilibri di una famiglia, forse pure del mondo: tanti sapori e consistenze diverse, tutti tenuti insieme da un velo sottilissimo, che può rompersi in ogni istante. Proprio come una famiglia: dentro ci sono tanti sapori e il velo che la protegge è fragile, quindi bisogna trattarlo con cura, continuare a nutrire, raccontare e fare in modo che non scompaia nei ricordi. Perché all’improvviso magari ti trovi distante da casa e tutto quello che ti resta è una ricetta.”
Qual è il messaggio che vi piace pensare di trasmettere tra le righe delle ricette delle @SorellePassera?
“Non abbiamo la pretesa di poter cambiare il mondo, però possiamo cambiare dei piccoli pezzetti di mondo. Restando nella metafora della cucina, il segno che speriamo si lasciare sono tante briciole di Pollicino, una piccola strada fatta di pensieri positivi, di cura per gli altri, di attenzione, di ascolto, di parole che abbiano senso e significato, che le persone possono decidere di seguire in un bosco, sicure di trovare la strada che poi porta a casa, che è diversa per ognuno.”
Lo strudel è una metafora perfetta degli equilibri di una famiglia, forse pure del mondo: tanti sapori e consistenze diverse, tenuti insieme da un velo sottilissimo, che può rompersi in ogni istante. Quindi bisogna trattarlo con cura.